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mercoledì 19 marzo 2008

Affinché il Tibet sia autonomo

Pare che la situazione in Tibet sia grave. In queste ore il Dalai Lama ha dichiarato: "Se la situazione continua verso la violenza mi dimetto". Pare infatti che alcuni tibetani stiano mettendo in discussione l'autorità stessa del Dalai Lama ed in particolare del suo metodo di lotta, la non-violenza.
Credo che questo sia un grave errore, perché, se parliamo di forza, chi ne avrebbe di più, la Cina, con tutto il suo apparato militare, o il Tibet, con quattro monaci vegetariani?
Penso che il boicottaggio stesso, come proposto anche qui, sia esso stesso una forma violenta di protesta.
Dovremmo cogliere l'insegnamento dal Dalai Lama che chiede non l'indipendenza, con uno Stato a sè quindi, ma il completo e rigoroso rispetto della costituzione cinese, quella che dà al Tibet la sua autonomia.
Avrebbe senso avere un altro Stato, un'altra burocrazia, un altro apparato militare, etc..? Il rischio di ricreare un'altra piccola Cina sarebbe molto realistico. Credo che la lotta non-violenta, rispetto della legalità e federalismo siano alla base di una duratura e reale democrazia. Una democrazia basata sulla vita e sull'ottimismo della natura umana, non sulla morte e sul sopruso del più forte sul più debole (di turno).
Infatti l'Italia è nata (se si può dire "nata" in quanto nel '45, costituzionalmente, non vi è stata rottura tra il regime fascista e la Repubblica, ma continuità istituzionale) dalla Resistenza o comunque dalla lotta armata contro il fascismo, un periodo tutt'altro che non-violento.

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